“Tutto è soggetto alla natura mentale ed è reale in misura uguale alla realtà della sua natura…Se siete oppressi da qualche paura, non tentate di scacciarla; provate invece a coltivare il coraggio e vedrete che essa svanirà!” (Kybalion)
Come sarebbe la vita senza la morte? Probabilmente perderebbe quel senso che le è proprio, quella caratteristica che è intrinseca ad essa, quella motivazione che la spinge ad autoalimentarsi. Non si può comprendere bene la morte se non si comprende profondamente la vita, o almeno si cerca di farlo ed è soltanto analizzando e scrivendo della vita in tutte le sue ipotetiche sfaccettature che ci si può inoltrare nella percezione dell’idea della morte, senza peraltro avere alcuna risposta certa! Innanzitutto, per “vita” qui si intende l’incarnazione di una cosiddetta Anima, una Essenza, una Scintilla di un Sé Superiore o Divino che dir si voglia in un corpo fisico su questo pianeta chiamato Terra. E la vita nell’Universo, la vita dei pianeti, delle galassie, degli stessi buchi neri e della “materia oscura” che è ancora una qualità ed una quantità di “energia” assolutamente sconosciuta all’essere umano, è da considerare? Quella vita non fa pure essa parte di un processo circolare di “nascita-morte” o, meglio, di “inizio-fine” dove la “morte-fine” è intesa ovviamente come termine di un ciclo ed inizio di uno successivo? È risaputo che per conoscere il funzionamento dell’Universo è necessario studiare l’essere umano nel suo più infinitesimale ordine di misura perché noi siamo letteralmente “polvere di stelle”, come tutto ciò che ci circonda, almeno ad un livello fisico. Ma andiamo oltre al livello fisico ed anche oltre quello energetico: inoltriamoci ancora più internamente, passiamo quindi attraverso il livello eterico per giungere a quello spirituale.
Diceva Leonardo Da Vinci: “Immergete la vostra anima nell’inconscio Divino, sprofondandovi in esso, finché cederà alla vostra Anima il suo segreto.” Tutti abbiamo Dio dentro di noi, ovvero la “Verità di ogni cosa” indipendente dalla nostra coscienza, ed attraverso la nostra coscienza – chi più chi meno – una grande spinta a conoscere, ma siamo davvero destinati a conoscere il segreto della Creazione? Qualsiasi ricerca intendiamo intraprendere verso la scoperta di questo “segreto” ci potrebbe portare ad avere sempre più domande e sempre meno risposte! Ma non scoraggiamoci. Potremmo iniziare con il pensare che la morte non sia la nostra peggiore nemica ma sia nostra amica allo stesso modo di come lo è la nascita, perché la ragione di questi due momenti di passaggio potrebbe essere la stessa: mettersi in gioco, vivendo il divino pienamente ogni istante della nostra esistenza in continuo affido, tendendo costantemente alla nostra evoluzione. Ecco che allora iniziano i dubbi. Appena si nasce o, meglio, si “scende in un embrione”, potenzialmente si è perfetti, si dovrebbe essere Pura Coscienza Divina, una scintilla della Supercoscienza Universale. Ma allora perché “discendere”? Se si è già Puri, Perfetti, a cosa serve ritornare nel corpo fisico “in questa valle di lacrime”? La risposta a questa domanda merita un articolo a parte; ci limitiamo semplicemente a constatare che ciò che ci fa evolvere in questo corpo fisico è la consapevolezza che si acquista con l’esperienza sul campo, nella fisicità della materia. E che, per poter integrare perfettamente gli opposti, l’infinita perfezione dell’Anima ha necessità di vivere la limitazione, la finitezza, la caducità del corpo umano in ogni sua incarnazione, per poter tendere al massimo dell’espansione anche nelle ristrettezze della fisicità della carne, permettendo ciò che abbiamo più volte definito “spiritualizzazione della materia”.
Ciò che ci chiediamo adesso è: perché abbiamo così tanta paura della morte? I grandi saggi insegnano che due cose dovrebbero essere contemplate continuamente: la nostra natura Divina – ovvero l’Essenza in ognuno di noi – e la nostra morte. Ma la paura della morte fa parte del naturale istinto di sopravvivenza e di conservazione dell’uomo. Spostata l’attenzione, come vedremo, dai centri energetici della sopravvivenza a quelli della spiritualità ecco che la morte non fa più paura.
“Se in questo momento vivo veramente perché dovrei avere paura della morte?” Paura della morte e paura della vita, alla fine, non sono le due facce della stessa medaglia? Anzi spesso la vita fa più paura della morte. È molto più consapevole accettare l’idea che la morte non è la fine della vita ma un aspetto intrinseco della vita stessa! Se potessimo parlare direttamente alla Morte, ancora nel nostro massimo vigore della vita, in una sorta di dialogo profondo tramite il quale Essa ci confiderebbe tutte le Sue Verità, cosa Le diremmo? Quali domande Le porremmo? Siamo certamente creature spirituali che temporaneamente conducono una esperienza umana: tutto questo a cosa ci serve? Possono esserci infinite risposte a queste domande ma di nessuna avremo mai la certezza assoluta che sia quella giusta! Di una considerazione, però, non dovremmo avere dubbi: lo stato più elevato e più adeguato che dovremmo mantenere il più costantemente possibile dovrebbe essere uno stato di profonda ad assoluta Gratitudine per la condizione che viviamo perché essa è la migliore condizione che ci possiamo permettere di vivere nel momento stesso in cui la viviamo. Va tutto bene così! In fondo, siamo coscienti che tutto dipende dal Bisogno, in primo luogo quello della Coscienza Universale, il Sé Supremo, e in secondo luogo da quello del nostro Universo interno, la nostra Essenza (anche se, in questi casi, potremmo definirlo come “tendenza all’espansione ed all’evoluzione continua”). Il Dio Universale (esterno) e la Scintilla di Dio (interna) sono la stessa cosa: l’IO SONO. L’unica differenza è che nessun essere umano potrà mai conoscere perfettamente tutte le ragioni del Disegno Divino, ma è compito, invece, dell’essere umano, durante la sua esistenza in questo corpo fisico, conoscere la propria Essenza, il Dio interno in ognuno di noi e questo è davvero il suo fine ultimo! Questo perché ciò che a noi manca è la “visione d’insieme” che è propria dell’Onniscienza della Coscienza Superiore: all’essere umano questa visione cosmica non è data conoscerla anche perché esso è limitato e non potrebbe mai comprenderla.
Ciò che possiamo cercare di comprendere è invece che tutto ciò che è legato al Tempo è momentaneo e non è VERO. O meglio, è relativo alla nostra personale visione del conosciuto nell’immensità dello sconosciuto. È una nostra proiezione e, per questo, NON VERO. Soltanto quando non viviamo di ricordi ci avviciniamo ad una percezione del mondo che ci circonda più consono, ovvero una momentanea apparizione nella nostra coscienza! Cosa c’è di durevole? Né il corpo, né la mente…allora? Bisogna spostare la nostra la nostra ricerca altrove, in ciò che non è mutabile! In ciò che è infinito e per questo VERO! La Realizzazione non è altro che l’opposto dell’Ignoranza. Quando si considera vero il mondo che ci circonda e fonte unica di realizzazione mentre si disconosce completamente il Sé considerandolo irreale o lontano da noi o poco importante, si vive nell’ignoranza la quale è fonte di dolore. Invece quando si conosce profondamente il Sé e lo si considera l’unica Verità, mentre tutto ciò che ci circonda, una mera illusione, temporanea e transitoria, si vive nella pace e nella gioia e si è liberi dal dolore e dalla sofferenza. Quindi anche dalla sofferenza della morte. La cosiddetta “morte” non è altro che un cambiamento del processo vitale in un determinato corpo di questa dimensione. È un passaggio tra un processo di integrazione ad uno di disintegrazione, finché questo sarà necessario, nel percorso della nostra Anima. Arriverà un momento nel quale questo non servirà più e sarà necessaria invece un’altra modalità di “passaggio”, sempre in funzione della continuazione e del rinnovamento della VITA. In questo senso la morte non esiste e vi è l’Immortalità: la VITA e la MORTE diventano quindi due aspetti di un’unica esistenza.
In ogni caso, il passaggio della morte è differente in relazione al modo in cui si è preparati, l’importante è non morire senza rendersene conto! Come tutto nella nostra esistenza anche essa è un’occasione, forse il momento più importante della nostra trasformazione ed andrebbe vissuta con grande consapevolezza, apertura e connessione: essa non è altro che un’applicazione particolare e specifica della meravigliosa legge del rinnovamento, dell’evoluzione e dell’abbandono di una forma per un’altra. La Coscienza, sotto “forma” di Anima anche se unita alle limitazioni che il “corpo sottile” rappresenta, abbandona il corpo fisico. Ritorna a “casa”, da dove Essa proviene, ma soltanto in termini di connessione energetica, libera dalla costrizione fisica perché come non esiste tempo, allo stesso modo non esiste spazio per il “principio di dislocazione”.
È quindi tutto un gioco di prospettiva! Non è la morte l’avvenimento terribile, è la mente che lo crede!! Il terribile non è morire ma lo può essere il fatto di cessare di vivere in questo corpo fisico quando si portano in sé ancora tanti desideri insoddisfatti, tanti timori non rassicurati, tante frustrazioni o rimorsi. Quando ci si sente irrisolti, incompiuti non solo perché non si è ricevuto ciò che si voleva ricevere ma anche perché non si è potuto dare ciò che si sarebbe voluto dare, in qualunque campo d’azione. I buddisti consigliano: “Pensa ogni giorno alla tua morte e medita su come desidereresti morire”. In natura “nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma”. Ciò che muore ad un livello nasce ad un altro livello, anche se sappiamo, in verità, che non nasce e non muore assolutamente nulla! Tutto questo è la visione umana, ristretta della Mente che non contempla l’Infinito. E non contempla la trasformazione continua, la trasmutazione infinita. È, come sempre, l’Ego che ricerca la fissità, la “stasi”, che non accetta il cambiamento. Anzi ne ha proprio paura! La Paura umana è soprattutto, ancestralmente, paura della morte che è il cambiamento per antonomasia. Ma a livello profondo siamo noi stessi che invece desideriamo cambiare, è la nostra Essenza che ne avverte la necessità assoluta, consapevole che il cambiamento è sempre in positivo! Ne consegue che è l’Ego che ha paura della morte non la nostra Essenza che È in qualunque situazione. Quindi per le sovrastrutture dell’Ego, ciò che ci attende “dopo” è basato sulla “disgregazione” o, meglio, sulla “paura di disgregazione”.
Ma qualsiasi concetto che abbiamo appreso soltanto in maniera razionale ci servirà ben poco al momento della nostra morte! Per essere davvero utile deve giungere alla coscienza profonda, come tutto ciò di cui desideriamo prenderne vera Consapevolezza, mediante una lunga pratica ed una lunga consuetudine di introspezione prima psicologica poi spirituale. Vivendo nel Presente, poi, questa pratica introspettiva ci permette di realizzare lo scopo della nostra vita che è poi esattamente quello della nostra morte: la ricerca di integrazione degli opposti e la manifestazione dell’Assoluto. Ed a questo proposito è bene notare che il sogno noi lo viviamo come veramente è la vita, sempre nel Presente. Dovremmo vivere sempre come nel sogno per avere il vero contatto con la Verità – e non la Realtà perché essa è soggettiva, è creata dall’osservatore! – in modo tale che alla nostra morte non ci sia un passaggio traumatico ma esso sia un fluido cammino verso una nuova “Vita”. Il principio che l’uomo possa attingere al “Campo di tutte le possibilità” attraversa ogni tradizione sapiente, fino alla recentissima fisica quantistica.
Secondo il “Libro dei morti egiziano” dopo aver varcato la soglia del Duat (il mondo dell’aldilà) o il Bardo del divenire del buddismo tibetano, l’Anima incontra la regione dell’assolute possibilità dove nulla è determinato, fissato o stabilito. Tutto è soggetto alle leggi del movimento e tutto ciò che si manifesta è una pura proiezione delle proprie possibilità. Tutto questo assomiglia molto al “Campo quantico” ma soltanto dopo la vita in questo corpo fisico e non durante. E se anticipassimo questo processo di scelta e di trasformazione? Se lo facessimo mentre ancora occupiamo il nostro corpo fisico, come cambierebbe il momento del passaggio? Ed ancora, se stessimo vivendo sempre la stessa “Vita” finché non ne comprendiamo l’Essenza e risolviamo tutti i nodi legati all’esistenza in questo corpo fisico? È possibile che sia proprio così ma le vite sono differenti se non altro perché cambiano i personaggi, i nodi da risolvere via via che si affronta una nuova incarnazione e si prende coscienza di qualche propria carenza o bisogno finché si è raggiunti definitivamente lo stato di “samadhi”, l’Illuminazione per i buddisti, la Liberazione; però la Vera Vita è una sola! Ininterrotta, ed è quella dello Spirito che incarnato assume la definizione di Anima. Il cambiamento, quindi, è l’unica costante in questa vita infinita, in tutte le sue forme.
Non dovremmo mai dimenticare che la nostra Creazione nasce da un impulso di conoscenza del divino e per questo ci serviremo del nostro corpo umano che, essendo caduco, ci farà vivere le esperienze che ci serviranno in maniera fisica, materica, sofferta quindi per poter comprendere e seguire il nostro “dharma”, la nostra Via, o se vogliamo, la nostra Missione. Già Platone questo lo sapeva, quattrocento anni prima della venuta di Cristo: “La vita nasce dalla morte come la morte nasce dalla vita”. Quindi la morte non è altro, ovviamente, che un’altra nascita e la nascita non è altro che un’altra morte nel ciclo del “samsara”. Quando finirà questo ciclo? Quando si è “appreso” tutto ciò che l’esperienza materica della vita umana gli ha permesso di apprendere! Ovviamente, il percorso dello Spirito sotto “forma-di-Anima” rappresenta soltanto uno degli innumerevoli momenti della sua esistenza dato che Esso è eterno. Sperimentando la Vita, lo Spirito permette la Conoscenza, e questa si trasferisce all’Anima che così si evolve. La sperimentazione della Vita che lo Spirito fa, è su tutti i livelli: il livello della teoria, quello della materia minerale, quello del corpo fisico, quello emozionale e quello mentale fino ad arrivare a quello più elevato di Coscienza e del Trascendente. Per giungere infine all’esperienza divina come acquisizione di sprazzi di coscienza cosmica, mediante i quali si apprende di possedere la stessa natura di quella divina.
Qualsiasi situazione che ci mettiamo in condizione di vivere dipende, come abbiamo visto, da una nostra necessità fondamentalmente di evoluzione, e la morte rappresenta il passaggio evolutivo più importante che possiamo fare a coronamento di una vita nel nostro corpo fisico che non anela ad altro che a questo! Se lo Spirito ha scelto il corpo umano fisico, materiale, è perché aveva esattamente bisogno di intervenire a questo livello per la sua evoluzione e quindi le esperienze fisiche non dovrebbero essere affatto sublimate – come alcune dottrine orientali affermerebbero – ma vissute intensamente nella loro interezza materica. Questo permette all’Anima di inviare i segnali esperienziali evolutivi direttamente nel Campo, ovvero il modo in cui si gestiscono tutte le emozioni umane, le reazioni della nostra mente umana alle nostre esperienze, l’acquisizione di Consapevolezza della nostra vera natura e del compito che siamo venuti a svolgere nel nostro corpo fisico.
Lo stato mentale della morte – ciò che ci lega alla materia – quindi, è di cruciale importanza. Si tratta però soltanto di mettere in pratica tutto ciò che si è imparato in vita, e lasciarsi andare. Questo è il momento nel quale è assolutamente necessario attuare la cosiddetta Resa per la quale si ha avuto a disposizione tutta la propria vita per prenderne consapevolezza e indirizzare in quella direzione la propria energia vitale! I buddisti affermano che in punto di morte, di solito, gli atteggiamenti con i quali si ha una lunga consuetudine prendono il sopravvento e dirigono la nostra rinascita, per lo stesso motivo si genera un forte attaccamento verso noi stessi, perché temiamo di entrare in uno stato di non-esistenza. E questa è proprio una delle caratteristiche più emblematiche dell’Ego: l’attaccamento. Se non ci attacchiamo alle cose non soffriamo per averle, non soffriamo per difenderle e non soffriamo se dovessimo perderle. Non avere attaccamenti: è questa la via della Liberazione. È come “morire in vita” ma la morte non è quella della nostra Essenza e nemmeno del nostro corpo fisico, fidato mezzo di trasporto per questa incarnazione, ma è quella del nostro Ego! La via spirituale non è mai stata facile: le Upanishad la paragonano ad una lama di un rasoio. Bisogna perseguirla con grande impegno “per lungo tempo, senza interruzione e con amore”. E ne vale assolutamente la pena perché l’Ego è un ostacolo immenso alla morte serena ed alla Liberazione dal “samsara”. Per i buddisti l’Ego è rappresentato dai “tre veleni”: Ira, Desiderio e Ignoranza, i quali però, al loro interno, racchiudono i nostri “sette peccati capitali”. Nella tradizione indiana originaria, secondo Maharishi Patanjali, i “veleni” sono cinque e vengono chiamati Klesha che significa “passioni” o “afflizioni”. Essi sono: ignoranza della nostra vera natura, egoismo, attaccamento, odio, ed infine paura della morte! Nella tradizione cattolica, oltre ai sette peccati capitali è però presente la dannazione dell’Inferno che attende nell’Aldilà coloro che non sono stati “puri e giusti” nella loro vita! Quindi, in questa tradizione, dopo la morte ciò che non possiamo evitare è il “giudizio” e la conseguente “punizione”! È comprensibile che questa visione generi tensione e paura in chi, per tutta una serie di motivi legati al proprio bisogno di credere ad una piuttosto che ad un’altra religione, accetti queste predizioni come dogmi o regole assolute. D’altronde ognuno di noi, a qualche livello, crede in una qualsiasi “religione” dato che la paura ancestrale della morte è stato il motore per cui la maggior parte delle religioni sono nate! Ma la religione, da “religere” ovvero “rilegare”, raccoglie tutte le credenze, i riti, i vissuti che coinvolgono sempre l’essere umano, cercando di conferire ad essi una veste di sacralità. È quindi sempre una “costruzione dell’uomo”, uno degli innumerevoli bisogni dell’essere umano che, impauriti dall’ignoto riguardo alla fine della vita, utilizzano a proprio sostegno. Ovviamente non esiste l’inferno dove le anime pagano per i propri peccati e soffrono pene indicibili ed infinite! E il purgatorio “cattolico” è rappresentato già dalla nostra esistenza in questo corpo fisico!!! Chi ha commesso atti che vanno contro l’Amore Universale per sé stessi e per gli altri saranno “condannati” all’isolamento – attraverso esperienze psicofisiche nel corpo che si è incarnato – per prendere coscienza dei propri atti, delle loro motivazioni, delle sofferenze che hanno provocato e di ciò che necessita loro per la loro “purificazione”. Dipenderà come sempre da noi e da come svolgeremo il nostro compito e questo lo dovremo fare su questa Terra, o su un qualunque altro pianeta che sceglieremo per la nostra incarnazione. Questa è vera giustizia. E c’è una sola Verità. Ogni essere umano è Atman, il Sé Supremo. Ogni essere umano è Dio, è Pura Luce Divina e l’unico compito, la missione più importante per sé stesso in questa, come in ognuna delle sue incarnazioni è quella di scoprire questa Verità. Non dobbiamo aggiungere nulla alla nostra Essenza Divina. L’unica cosa da fare anzi è togliere, ripulire, eliminare tutte le scorie che tutte le vite, tutte le incarnazioni in questo corpo fisico ci hanno prodotto e che la nostra Anima, la nostra Essenza è qui per “guarire”! Come? Prendendo coscienza che, se abbiamo scelto questa situazione, questa coppia genitoriale e questo preciso “momento storico”, significa che era esattamente quello di cui avevamo bisogno!
L’unico nostro atteggiamento dovrà essere, allora, di assoluta dedizione a questa esistenza e di profondo ringraziamento, anche e soprattutto per l’eventuale sofferenza che ci sarà di giovamento ed il completo allontanamento del giudizio nei confronti degli altri e di sé stessi. E nei confronti, ovviamente, della morte! La soluzione si trova quindi nel cominciare a considerare il “sentire” più possibile la nostra esperienza umana nel nostro corpo e considerare anche la sofferenza come assolutamente necessaria! La nostra vita terrena è una continua creazione di inferni e paradisi fittizi, in base al nostro bisogno ed al nostro livello di coscienza. Finché continueremo a cercare nel “relativo” senza riuscire a guardare negli occhi il fatto che ci attenderanno sempre delle prove e delle situazioni al di sopra di noi stessi che potrebbero portare sofferenza, il vero cammino non potrà cominciare. Ma finché continueremo a pensare che le situazioni dolorose siano necessariamente legate alla sofferenza, non saremo impegnati in un vero cammino spirituale, che è la vera strada alla conoscenza del Sé Supremo.
La via d’uscita consisterebbe nel dissociare il fatto doloroso dalla sofferenza in sé. La sofferenza è dolorosa soltanto se viene rifiutata. I Greci sostenevano che non c’è alcun senso nel dolore e che, se arriva, bisogna sostenerlo. È più probabile, invece, che il dolore sia una nostra personalissima decisione, entro ovviamente i nostri limiti “strutturali”, e che non serva a nulla. Serve ed è fondamentale, invece, la sofferenza che è l’unica via per la trasformazione, per l’ascesa dello Spirito, per la cosiddetta Illuminazione dei Buddisti e dei mistici orientali di tutte le epoche. Che essa sia la solitudine o la malattia, la destabilizzazione interiore o l’abbandono del nostro corpo fisico, più comunemente chiamata morte (ammesso che questa si possa definire “sofferenza” e potrà essere percepita così soltanto nel caso che il morente abbia frainteso il motivo della nostra incarnazione in questo corpo fisico), dobbiamo alla sofferenza una gratitudine smisurata in quanto ci fornisce un’opportunità per il nostro distacco da una vita altrimenti inutile, che non ci serve, quindi, a nessuna profonda “trasformazione”. Fondamentalmente, senza sofferenza non si riesce a prendere parte a quello che è un processo di integrazione del fisico con lo spirituale, della presa di coscienza dei nostri limiti per poter accettare, una volta per tutte, che sono l’Umiltà, la Compassione e l’Amore per noi stessi e per gli altri che ci rende “divini” e che potremo accogliere la morte per quello che è: un ricongiungimento con il Divino.
Dio ovviamente non è una cosa o una persona, una forma-entità separata da noi che ci attende al varco per giudicarci, Dio è Coscienza Superiore, Energia Superintelligente Creatrice, un modo di osservare la “realtà” e trovare in essa la Verità. È Lo “Stato Assoluto dell’Essere” in ogni dimensione ed in ogni infinitesimale parte della nostra dimensione: e siamo quindi anche noi stessi nella misura in cui facciamo esperienza nella materia all’interno dell’integrazione delle nostre Ombre!

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